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High Concept Eduinfotainment (and HCE burlesque!)

In InfoHCN on giugno 28, 2011 at 7:17 PM

ANDREA PITASI

http://www.andreapitasi.com

con Roberta Tedeschi e Chiara Trofino

Michael Crichton e John Grisham, due autori di best seller mondiali che non abbisognano di particolari presentazioni, sono stati, rispettivamente, medico ed avvocato. Nelle trame di fiction che questi autori intrecciano, emergono nitidamente le loro competenze scientifiche, intellettuali e professionali, svolgendo un ruolo cruciale sia nello sviluppo delle storie, sia nell’interpretarle come “cavalli di Troia” per diffondere conoscenza scientifica-professionale come ad esempio in E. R. Medici in prima linea.

Questo fenomeno scientifico-letterario ha plasmato negli anni un genere che con le ricerche mie e dei miei collaboratori abbiamo formalizzato come High Concept Eduinfotaiment (HCE). Non si tratta di un fenomeno esclusivamente statunitense, ma squisitamente delle civiltà (anglo)sassoni – anglofone e germanofone e quando qualche autore di altre civiltà, come ad esempio Umberto Eco, vi si dedica – come nel caso del capolavoro Il nome della rosa – certamente non delude e mostra assai bene che può esistere anche fuori dal mondo anglosassone un grande successo editoriale costruito dosando sapientemente una trama di alto livello concettuale (high concept), in cui intrecciare abilmente elementi educativi (edu), informativi (info) e di intrattenimento (tainment) da cui, appunto, l’eduinfotainment. Purtroppo però Eco non è esattamente l’autore-tipo e rappresentativo della narrativa italiana. È Umberto Eco, punto e basta. Se consideriamo altri best seller italiani scopriamo autori di puro e semplice tainment  – tipo Federico Moccia o Fabio Volo – letture magari anche gradevoli per un ampio pubblico a bassa scolarizzazione o ancora acerbi nel loro processo formativo (adolescenti), certamente testi apprezzabili nel loro genere ma nessun genitore con un minimo di cultura userebbe un volume di Moccia per comprendere i propri figli; né tanto meno mi risulta che Federico Moccia si qualifichi come psicologo, psichiatra o neuroscienziato.

In Italia dunque l’high concept eduinfotaiment – Eco a parte – non presenta, almeno per ora, autori da best seller. Anche se qualcosa comincia a muoversi.

Prendiamo il caso di Alessia Gazzola, giovane medico chirurgo che ha esordito lo scorso gennaio col suo primo romanzo dal titolo L’allieva uscito per Longanesi: la protagonista è una giovane specializzanda in medicina legale alle prese con un omicidio e una vita complessa quanto comune. Sembrerebbe una trama, ed una biografia, alla Crichton prima maniera; alla Crichton di In caso di necessità. Non si tratta ancora di quel che si definisce High Concept, ma di sicuro lascia ben sperare sulla nascita di un filone italiano in cui cominciano a farsi spazio le caratteristiche dell’eduinfotainment.

Ancor più recente è il caso di Massimiliano Pieraccini: laureato in fisica, insegna presso l’Università di Firenze. Con Rizzoli ha pubblicato L’Anomalia, thriller scientifico che sembra un ulteriore indizio che il romanzo high concept può emergere anche in Italia!

A confermare la tendenza appare in questi giorni Francesco Fioretti, laureato in lettere a Firenze e specializzando in studi danteschi presso l’Università di Eichstatt in Germania, con il suo Il libro segreto di Dante, edito Newton Compton Editori. Un cocktail di intrighi, teoremi e rivelazioni che gli conferisce il titolo di un Dan Brown all’italiana ma con qualche anno in più di studi specialistici alle spalle.

Nel panorama letterario italiano, tuttavia, sta crescendo un altro fenomeno che potremmo definire la “parodia dell’ HCE” ossia il fenomeno dell’incompetenza generalizzata e camuffata da competenza specialistica. Questo fenomeno è piuttosto complesso e sarebbe pertanto semplicistico sia sostenere che gli autori dei libri “parodia” lo siano diventati consapevolmente, sia che lo siano diventati inconsapevolmente magari sull’onda di un innegabile successo di vendite a masse di lettori non qualificati che vedendo in questi autori persone più qualificate di loro li hanno riconosciuti metaforicamente re, in quanto orbi, del popolo dei ciechi.

Ma in che cosa consiste questa parodia?

Un autore high concept è un esperto (medico, fisico, matematico, avvocato ecc.) che attraverso trame di fantasia sviluppa storie il cui contenuto è invece “vero”, basato su fonti documentate, fonti metodologicamente organizzate con cura, una cura che richiede appunto la competenza dell’esperto e dunque il “messaggio scientifico e/o culturale” di questi romanzi è inconfutabile ed inattaccabile da un non addetto ai lavori. Che poi la trama di fiction sottesa possa piacere al lettore non qualificato o meno, questa è un’altra faccenda, come si dice: “de gustibus non est disputandum”. Se un lettore come trama di giallo preferisce un qualunque racconto di Agatha Christie a Il nome della rosa stiamo parlando di gusti, ma se un lettore intravede in un libro della Christie qualcosa in più di un semplice format d’intrattenimento e comincia a considerarla una sociologa, una filosofa e una criminologa allora quel lettore sta solo ammettendo la propria incompetenza. Di contro, Il nome della rosa può essere letto appunto come semplice giallo (da un lettore molto, molto poco colto)  ma anche su molti altri livelli; non ultimo come trattato di gnoseologia che illustra tanto la variante maggiormente oscurantista della posizione che sostiene una matrice teologica di ogni forma di conoscenza che diviene dunque sublime ricapitolazione della parola del divino (posizione incarnata nel romanzo da Jorge da Burgos) quanto la variante maggiormente razionalista-progressista incarnata da Guglielmo di Baskerville. Agatha Christie, tuttavia, non mi risulta che si sia mai presentata al pubblico come criminologa.

La parodia dell’HCE consiste invece nell’opposto: scrittori e giornalisti, magari anche ottime penne stilisticamente, che però non hanno competenze specifiche (e pochi anni da autodidatta possono bastare solo a pochissimi, elettissimi geni, mica uno si mette a spulciare gli articoli di nera, ne trae ispirazione per una trama e diventa automaticamente criminologo) che scrivono magari dei gradevoli noir di fiction ma che dopo un poco vengono etichettati dai non addetti ai lavori (nel qual caso gli autori non ne hanno colpa purché non reggano il gioco) o peggio si autoetichettano come, ad esempio, criminologi. Un caso emblematico di questi autori da parodia è Carlo Lucarelli, sulle cui opere intesi come noir di fiction non ho nulla da eccepire e posso anche aver trovato divertenti  i suoi programmi televisivi ma certamente se voglio comprendere come si analizza una scena del crimine vado a leggermi Augusto Balloni (neuropsichiatra, medico legale, psicologo, impegnato da anni nel settore della devianza e della medicina legale. Arricchiscono il suo profilo le oltre 150 pubblicazioni) elegantemente sconosciuto tra i non addetti ai lavori –  e non considero Lucarelli una fonte scientificamente e metodologicamente attendibile.

Non a caso il ‘coccodrillo’ di Crichton, affidato allo scrittore emiliano, non ha reso alcuna giustizia al medico, romanziere e filmmaker statunitense. Infatti il ricordo di Lucarelli appare come un’imperdonabile svista sin dalle prime parole, sin da quando, cioè, definisce Crichton un autore di fantascienza http://tv.repubblica.it/copertina/crichton-il-ricordo-di-carlo-lucarelli/26037?video. Per capire l’inadeguatezza di tale definizione basta pensare – oltre ai numerosi romanzi frutto di approfondite ricerche sui più svariati argomenti – alle innumerevoli partecipazioni di Michael Crichton a conferenze, convegni, lezioni al MIT e ai suoi articoli su riviste come Wired.

Perché gli interventi di uno scrittore di fantascienza dovrebbero essere legittimati al punto da essere discussi nelle aule dell’accademia? Perché uno scrittore di fantascienza dovrebbe essere legittimato al punto da essere invitato in quelle aule se non si tratta di lezioni di scrittura creativa? Evidentemente il maestro dell’high concept era considerato molto più di un fantasioso autore!

Ma la parodia dell’HCE è un trend sulla cresta dell’onda ed attira a sé una fila interminabile di seguaci anche tra i lettori che attraverso la loro adesione contribuiscono a legittimarne l’esistenza. Proprio da qualche settimana sta spopolando anche in Italia (al 5° posto tra i 100 libri più venduti su IBS.IT ) un primo di una trilogia a marchio Danielle Trussoni. Il caso cade a pennello: l’autrice trova l’ispirazione in un modo un po’ paradossale e detta la sua ricetta per l’interpretazione dei passi biblici scrivendo un libro, Angelology (Nord edizioni). Definito dal Time “un romanzo ipnotico in cui teologia, storia e azione si fondono in un affresco grandioso”, viene però da chiedersi, se basti le breve frequentazione di una pro-zia suora, la clausura per qualche tempo in un convento ed uno studio appena scolastico della religione cattolica ad attribuire il titolo di angeologa e a conferire una  conoscenza precisa di quella che viene definita l’angelologia, cioè lo studio teologico delle dottrine riguardanti le entità definite angeli. E allora, come mai lo scrittore che si accinge a svelare i segreti e ad interpretare le sacre scritture il più delle volte non è un teologo o un dottore della cultura religiosa che, indipendentemente dal grado di scientificità dell’argomento, saprebbe applicare la rigorosità del metodo? Troppo spesso la combinazione ibrida di elementi storici, talvolta religiosi, scientifici ad espedienti fantastici e letterari consente all’autore di trovare un escamotage per sdoganare il proprio point of view e giustificare l’approssimazione del suo approccio.

Ma ora basta. Proclamiamo la rinascita dell’HCE.